"La Visione di Ezechiele" di Raffaello Sanzio
Raffaello Sanzio dipinge la Visione di Ezechiele tra il 1516 ed il 1518. Lo fa con una prospettiva diversa dalle classiche rappresentazioni dell’epoca. L'impostazione del dipinto è leggera e non inserisce al suo interno un riferimento prospettico classico. Pochi sono i soggetti che possono dare un riferimento dimensionale, un metro di misura, uno di questi è un albero inserito in una riva di mare o di lago.
E’ un’opera realizzata con olio su tavola di piccole dimensioni, circa 40 per 30 centimetri ed è conservato alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti.
Fu in un primo momento attribuita a Giulio Romano su disegno di Raffaello ma successivamente attribuita a pieno titolo allo stesso maestro.
Vasari la descrive così: "un Cristo a uso di Giove in cielo e d’attorno i quattro Evangelisti, come gli descrive Ezechiel; uno a guisa di uomo e l’altro di leone e quello d’aquila e di bue, con un paesino sotto figurato per la terra, non meno raro e bello nella sua piccolezza che sieno l’altre cose sue nelle grandezze loro".
Leggendariamente ispirata nella composizione da un rilievo su un sarcofago romano con il Giudizio di Paride a villa Medici, l’opera vuole la visione del tetramorfo da cui derivano i simboli dei quattro Evangelisti. Ezechiele, il profeta, è rappresentato minimamente sulla lingua di terra investito da un raggio di luce che traspare dalle nuvole. Essi volle rappresentare la sfolgorante apparizione nel cielo di Dio.
Due putti che gli reggono le braccia distese e l'angelo di san Matteo. Sotto il leone alato di san Marco, il bue anch’esso alato di san Luca e l'aquila di san Giovanni.
La luce del dipinto proviene da una schiera impressionante di cherubini che si confondono dissolvendosi con le nubi ed illuminano alle spalle i soggetti principali.
Nel 1984 fu eseguito un esame rifletto grafico sul dipinti. Lo stesso rivelò in primis l'alta qualità dell'opera ed il respiro grandioso della composizione. Rivelò inoltre che la pittura corrispondeva perfettamente con il disegno originario di sottofondo, fatti che portarono a confermare la rispondenza e l’attribuzione a Raffaello Sanzio.
Recentemente un ritrovamento dello stesso capolavoro mette in dubbio l’originalità di quello custodito a Firenze. Lo stesso appartiene ad un collezionista privato veneziano. L’originale ha però una storia di collezionismo e di passaggi di proprietà con tanto di documentazione certificata, fin dalla committenza della famiglia Ercolani di Bologna a Raffaello, al dono che gli stessi Ercolani ne fecero al granduca Francesco I de' Medici, ad un inventario del 1589.
Ecco quindi che torna alla ribalta un altro capolavoro, un altro caso da gossip si sostituisce alla passione ed al piacere di godere dell’arte. Resto della mia opinione, la divulgazione del bello dovrebbe avere un’etica, un’educazione civica artistica che a mio parere non è ancora ben radicata nel nostro paese.
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