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Calcio in Livrea del 1524; una Nuova descrizione

Una delle prime partire documentate del Giuoco del Calcio a Firenze risale al 1490 quando, durante un inverno particolarmente rigido, l’Arno si ghiacciò.
Il Ponte alla Carraia e il Ponte Santa Trìnita furono luoghi nei quali si svolgevano abitualmente feste ed eventi popolari, spesso decritte da vari letterati come quella che nel 1304, sotto la direzione del pittore Buffalmacco vi si rappresentò l’Inferno. Potete trovare nel post “Le novelle dell’altro Mondo” la descrizione di questo tragico evento.
E proprio tra il Ponte alla Carraia e il Ponte Santa Trìnita nell’Arno ghiacciato vi si giocarono alcune partite di Calcio. Le cronache ci raccontano che benché fortemente ghiacciato, il fondo di gioco era aperto in alcuni punti e alcuni ragazzi persero la vita inghiottiti dal fiume ed affogati.
Da quelle partite, delle quali abbiamo poche notizie, il nostro interesse ci porta verso la famosissima partita del 17 febbraio del 1530, detta anche la Patrita dell’Assedio.
Scavando però nei numerosi testi storici e manoscritti, esce alla ribalta una nuova descrizione. Un racconto particolareggiato di una partita giocata in Piazza Santa Croce nell’anno 1524, cioè pochi anni prima dell’assedio imperiale di Carlo V.





Ecco il racconto:






“Sul finire del carnevale del 1524, stile fiorentino, era stabilito un giuoco del calcio a livrea, costumato giuocarsi in Firenze sulla piazza di S. Croce nel carnevale di ogni anno.


Per il giuoco del calcio si circondava la piazza da uno steccato, ed a capo ed a piedi della medesima si ergevano due padiglioni addobbati dei colori della divisa de’ giuocatori. Una linea separava in due metà la piazza, ed ai due punti finali di questa erano i seggi dei giudici, destinati a regolare il giuoco e decidere le questioni. Quivi la gioventù fiorentina, divisa in due schiere, con treno si portava ad eseguire il giuoco sotto le bandiere e le divise de’ due capi, che si chiamavano alfieri.
Il giuoco consisteva in questo, cioè di far passare di posta oltre l’opposto padiglione un pallone pieno di vento, al quale si dava con pugno e col piede; che però lo fece denominare il calcio. I giuocatori erano venticinque o ventisette per schiera, ed ogni schiera si divideva in quattro classi dirette dall’ alfiere.
Gl’ innanzi, o corridori si chiamavano quelli che correvano la palla; gli sconciatori trattenevano i detti innanzi, quando accompagnavano la palla, e dallo sconcio che davano loro prendevano il nome; i datori innanzi quelli che davano gagliardi colpi alla palla; i datori addietro, che dietro quegli stavano quasi a riscosse.
Ora, lasciando da parte il giuoco del calcio semplice, che era senza treno e si giuocava sul prato della porta di questo nome, nel giorno di cui parlo si eseguiva, il calcio a livrea, o divisa dorata per una schiera , rosea per l’altra. Il vestito dei giuocatori era del colore della livrea, e consisteva in calze, giubbone, berretto e scarpe sottili, procurando ognuno averli leggiadri e belli, perché stavano spettatrici le donne più vaghe e gli uomini più gentili della città. Si conducevano adunque i giuocatori nello steccato con pompa ed ordinanza, preceduti da trombetti e tamburi, dal maestro del campo, tutti a coppie l'uno di una schiera o colore, l’altro dell’altra, e girata la piazza si dividevano, ed ogni schiera occupava il suo padiglione. Sei gentiluomini, antichi giuocatori, tre per lato, sedevano quali giudici, e quindi, sbrogliata la piazza dai servi e da quelli che non dovevano giuocare, le trombe davano il segno, ed il giuoco incominciava e proseguiva tra lo strepito degli strumenti e delle grida dei spettatori, che parteggiavano per l’una o per l’altra schiera.
A questo spettacolo intervenivano nel dopo pranzo (il giuoco si faceva alle due avanti il tramontare del sole, e finiva al suono delle ventiquattro ore) tutte le persone della città, e questa bella adunata empiva tutti i luoghi fuori dello steccato, le finestre e perfino i tetti. Il lusso era grande allora e nei luoghi più distinti vedevansi ricche vesti e ornamenti di gran bellezza; larghe gonnelle di velluto cingevano i fianchi delle belle spese, a cui si aggiungevano collane preziosissime; le più portavano piccoli cappucci ricamati d’oro foderati di pellicce, ed alcune l’intero abito avevano ricamato d’oro e tempestato di perle e di gemme, a si ricche vesti aggiungendo diademi di rari carbonchi intorno al capo; e dal capo scendevano veli a cuoprire in gran parte le fattezze dei visi vaghi e pomposi di tutta la bellezza. della gioventù e della sanità. Agli uomini i calzoni strettissimi mostravano la robustezza delle forme; taluni portavano ricamate gabbanelle scendenti poco oltre la cintura, brevi mantelli con cappucci, berretti da eminenti piume ornati, con chiome brevi bene ordinate. La plebe aveva i suoi ornamenti, ma da quel lato tutto era confusione.
La schiera de’ giuocatori che più volte faceva caccia, cioè che faceva passare la palla di posta oltre al contrario padiglione, era vincitrice; chi faceva fallo perdeva mezza caccia, ed ogni due falli davano perdita ad una, e vittoria all’altra parte. Davasi il segno della vittoria con lo sventolare della bandiera vincitrice, e con lo sparo dei masti, specie d’archibusi. Vinta la caccia, si cambiava luogo; la schiera vincitrice andava ad occupare il padiglione di quella superata con bandiera spiegata, e la schiera vinta doveva andare dall’altra banda con bandiera inchinata e ravvolta.
Questo per il solito era il punto il più pericoloso del giuoco; perché la schiera vinta di rado abbassava la bandiera, e quella vincitrice, volendocela costringere, dava vita ad un assalto, ad una baruffa, dalla quale le bandiere per il solito uscivano in pezzi, ed i giuocatori pesti e mal conci.”
E’ solo un estratto del capitolo scritto da Agostino Ademollo, in Marietta de' Ricci, ovvero Firenze al tempo dell'assedio. Nella prefazione del suo libro ci mette in guardia: “Se non ami Firenze questo Libro ti nojerà, non d’altro parlando che di cose fiorentine”.

Ademollo, scrittore e storico toscano, finisce di scrivere questo racconto storico nel 1839 e verrà pubblicata la prima edizione nel 1840. Le fonti (Treccani) ci dicono che il romanzo si presta molto come raccolta di notizie fiorentine e che nella seconda edizione 1845, è stato molto migliorato da Passerini e stampato addirittura in 6 volumi. A questo Racconto io stesso tendo a dare un certo credito, anche perché proprio dallo scrittore arrivano conferme tratte dalla sua introduzione al Lettore:

“...il mio Soggetto, in sostanza tendente a descrivere la Città di Firenze nei dolorosi ultimi tempi della sua Repubblica, la quale, voleva che formasse il tema generale del mio Romanzo Storico. Ed affinché l’espressione di Romanzo da me usata, e l’idea che risveglia di un componimento di fantasia, non guidino a pensare, che io racconti avvenimenti inventati a comodo, o descriva cose del tutto ideali, avverto che per Romanzo Storico ho sempre inteso ed intendo non già di quel componimento, che non essendo nella sostanza ne tutto storia ne tutto invenzione, può pregiudicare alla prima senza crescere merito alla seconda; [...] non alterano però la vera storia; [...] Dietro ciò mio benigno lettore, devi ritenere che questo Racconto, se ha dell’invenzione, essa non altera in modo alcuni la verità storica…”

Antonio Zoncada invece riprende la stessa parte del racconto per inserirla nelle sue Prose - Letterato (Codogno 1813 - Pavia 1887) fu avviato al sacerdozio, ma lasciò a ventun anni l'abito talare; partecipò ai moti del '48, e si dedicò poi all'insegnamento privato, finché nel 1863 fu nominato professore di letteratura italiana nell'università di Pavia.

Infine dedichiamo due parole a questa descrizione nella prospettiva di migliorare il gioco del Calcio Fiorentino che si svolge a Firenze nei nostri tempi come Rievocazione. I dettagli non vanno sottovalutati proprio perché adatti alle nuove indicazioni e alle moderne regole per eseguire ed organizzare in modo coordinato una Rievocazione Storica.

Un altro contributo a questa bella manifestazione.

Copyright © Filippo Giovannelli - Riproduzione riservata